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Il dialogo interiore la psicologia della Bhagavad Gita (parte 1)

Il dialogo interiore

la psicologia della Bhagavad Gita (parte 1)

di Gabriele Gailli

La Gita contiene molti insegnamenti sullo Yoga e suggerisce una via pratica di realizzazione dedicata alle persone che vivono nel mondo comune e che non necessariamente devono prendere i voti della rinuncia. Arjuna, infatti, è un principe con una famiglia e dei doveri verso la sua comunità, e il suo maestro non è un monaco o un eremita, ma un principe come lui. Krisna, pur essendo incarnazione del dio Visnu, è egli stesso un principe, anche lui vive in una comunità sociale e non in una grotta sull'Himalaya o in un romitaggio nella foresta. LoYoga che insegna Krisna non è quello dei monaci, che scandiscono i momenti della giornata tra rituali, preghiere, meditazioni e che si fonda sul ritiro dalla comunità, ma lo Yoga della gente comune. Secondo la tradizione si distinguono tre categorie di persone: quelle che non hanno alcun controllo sulla nascita e la morte, i saggi che hanno ottenuto il controllo sulla vita e la morte e le anime incarnate che guidano verso la liberazione. Questi ultimi sono i soli ad essere costantemente liberi dagli effetti dei guna, queste persone sono capaci di ispirare e insegnare con la loro sola presenza, incontrarli è già una grazia. Ogni persona è condizionata dagli effetti dei guna, alcuni avranno tendenza ad apprezzare il mondo materiale, altri saranno portati per l'azione, altri per gli studi. Tutte le attività ordinarie sono influenzate da tamasrajas, le azioni virtuose sono dovute agli effetti di sattva

Nel sesto canto troviamo al primo verso:

B.G. Canto 6 1- Chi, senza provare attaccamento per il frutto dell'atto, esegue l'azione che gli incombe, quegli è colui che rinunzia, l'asceta unificato; non chi trascura il fuoco sacrificale e tralascia l'azione.

Krisna incoraggia Arjuna a raggiungere lo stato di quiete, abbandonando i frutti delle azioni. Nel nostro mondo spesso accade che si scelga il “non fare” come opposizione al “fare”: “tanto non ne sono capace” oppure “tanto non cambia nulla”, “meglio non fare niente, magari si aggiusta da se”. I guna tamasrajascontrollano questo stato chiamato dagli yogi, vikarmaRajasattiva le azioni ma senza sattwanon vi è realizzazione ne' soddisfazione, solo delusione e sconforto. Lo yogi fa le sue azioni senza attendersi nulla, con animo tranquillo, non commette errori, le sue azioni diventano in questo modo una sorta di rituale, liberandolo dalla catena del karma.

3- per l'asceta che cerca di ascendere i gradi dello yoga, l'azione è, come si dice a giusto titolo, il fattore per eccellenza, ma per colui che ha terminato l'ascesa, la qiuete, si afferma è il fattore dominante.

4- quando non si aderisce più agli oggetti dei sensi ma agli atti, è allora che, avendo rinunziato a ogni progetto interessato, si è detti aver terminato l'ascesa dei gradi dello yoga.

Quando le azioni, illuminate da buddhi, sono tali da essere sempre paragonabili a un rituale dedicato agli altri, queste non affliggono più la mente, la rendono libera, serena. Nella Gita come in molti altri scritti dello Yoga si parla anche dell'azione come sacrificio, ma in una società moderna quale significato può avere il sacrificio? Tradizionalmente si distinguono diverse categorie di sacrificio: Brahma yajnajiva atma yajnajnana yajnavijnana yajnamoksha jnana yajna, per spiegare possiamo dividere il sacrificio, yajnain quattro categorie:

yajnaper realizzare desideri, yajnaeseguiti per aiutare altre persone, yajnaper liberarsi dal karmadelle azioni commesse, lo yajnaeseguito dagli yogi, il sacrificio dei samskara, le impressioni latenti nella mente. Questo tipo di sacrificio a differenza degli altri è interiorizzato, non è compiuto esternamente e si chiama jnana yajna, il sacrificio dei samskara produce beatitudine e pace mentale a chi lo esegue come sadhana.

Purificare la propria mente, è sicuramente la sadhanaper le persone che vivono nel mondo e che scelgono di praticare il sentiero dell'azione. Nel sentiero della rinuncia si vive isolati nel silenzio, un mondo in cui si è lasciato tutto, e lì la pratica è la vita; per chi vive nel mondo comune, fatto di comunicazione, doveri, responsabilità, affetti, la pratica è necessariamente diversa, ma il risultato  è lo stesso.